La consuetudine alla ore notturne, dopo un paio di anni consecutivi di pratica, lascia ormai dei sintomi piuttosto evidenti. Al di là dei sogni curiosi sognati a metà mattina, è nei piccoli segni di tutti i giorni, che mi rendo conto della cosa.
Dal momento che il lavoro notturno (almeno, il mio lavoro notturno) non è fisicamente stancante, non di rado commetto l'errore di non considerarlo faticoso. Piccole distrazioni sono lì a ricordarmi che è vero invece il contrario, ma il più delle volte non do loro molta importanza. Sbagliando. Perché è proprio nell'innaturale ripetitività dei gesti che si nascondono le insidie peggiori, nel effettuare le stesse azioni in un verso e poi ripeterle al contrario: aprire gli occhi quando cala la sera, e richiuderli quando si fa giorno, per esempio. Nel tornare a casa stanco, mentre il resto del mondo inizia isterico il proprio giorno, condividendo lo stesso tratto di strada. Più volte mi sono ritrovato a mettere alla prova i miei riflessi per evitare un automobilista particolarmente in ritardo, oppure correggere l'impostazione di una curva, perché in un dato momento sembro aver perso la traiettoria che avevo scelto di percorrere.
A volte queste distrazioni sono più banali ancora, persino comiche. Come quella volta che, a colazione, ho iniziato a preparare una spremuta senza mettere il bicchiere sotto lo spremiagrumi. O le tante volte in cui mi ritrovo a zuccherare più volte lo stesso caffè.
Altre volte ancora sono gli stessi miei pensieri a confondere i propri binari, per poi scoprirsi disorientati. Come mi è successo qualche sera fa, mentre preparando la cena, mi sono sorpreso ad apprezzare la similitudine del profumo del pollo al curry e vino rosso, con l'odore curioso che esce dai pannolini sporchi di mio figlio. Senza riuscire a decidermi se tale similitudine fosse disgustosa o meno.
Se questi sintomi non bastassero a dare la misura dei danni che questo mestiere mi sta arrecando, posso sempre contare sul palese istupidimento a cui la mia mente sta andando incontro. Al di là delle occasioni in cui, durante le conversazioni, non trovo le parole, sono proprio i concetti e le conoscenze a sparire dalla mia memoria. In poche parole, dimentico. Si formano dei vuoti nel filo logico dei miei pensieri, e persino nella memoria a breve termine. Vuoti che non di rado mi costringono a ripetere più volte lo stesso gesto, dato che spesso dimentico la ragione per cui lo sto effettuando.
A volte riguardo sgomento il riflesso di me stesso che invecchia mentre ripete i propri gesti una volta e una volta ancora ma al contrario, una vita chiusa nell'assurdo palindromo del proprio quotidiano, senza coglierne il senso, e mi chiedo se non sia una vita insensata e futile, come quella delle falene.
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