-"Buona sera, signore, ben arrivato: posso avere il suo..."
Non ho ancora finito la frase che quell'altro mi ha già buttato il documento sul bancone, intanto che fissa lo schermo del tablet. Documento che non mi serve, dato che è un cliente abituale, e quindi ho bisogno soltanto del suo...
-"...autografo." - sussurro più a me stesso.
Fingo di controllare la carta d'identità, più per assicurarmi se tra i segni particolari c'è scritto quanto sia cafone, intanto che faccio la chiave. Gli consegno il documento, e con esso la chiave.
-"Ecco qui. La sua stanza è la 237, al primo ..."
-"Si, si."
Con la mano mi fa cenno di tacere. Io taccio. In tutto questo lasso di tempo non ho ancora avuto l'onore di guardarlo negli occhi. Mi concedo questo lusso, ora, intanto che leggo nel riflesso dei suoi occhiali la schermata delle impostazioni di rete del tablet, mentre lui, sempre più spazientito, cerca di accedere alla rete wifi dell'hotel. Che è protetta da una password. Che io ho tra le mani, insieme alla chiave della sua stanza.
Finalmente alza lo sguardo dal suo oggetto di piacere, e ha un momento di smarrimento nel trovarsi davanti a sé quel che sembra quasi un essere umano: Me. Un tizio in giacca e cravatta, con la barba di due giorni e troppe notti nelle borse degli occhi. Ma lo smarrimento dura solo un attimo. Subito riprende la sua indignazione per il servizio negato al suo fedele compagno.
-"La rete non funziona!" - Tuona.
-"Per accedere alla rete ha bisogno della password. Eccola."
Gli allungo il foglietto con il codice, insieme alla chiave della stanza, e al suo documento. Lui mi fissa con lo sguardo perplesso di un entomologo in visita al Louvre. Poi afferra il foglietto, e quasi casualmente anche la chiave della stanza, e di nuovo con lo sguardo nello schermo, se ne va. Nella direzione sbagliata.
-"Buona notte" - dico io, a voce alta, con la stessa emozione con cui al supermercato si annuncia l'apertura di una cassa. Ma non ricevo nessuna risposta.
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